Articolo scritto il 27 febbraio 2013 nella categoria E-business, Musica, Web | Nessun Commento
Questo mese è stato firmato un accordo che avrà delle ripercussioni sull’industria e la cultura della musica elettronica. Sto parlando dell’accordo tra Beatport, il più grande online store di musica elettronica, e Shazam, l’applicazione per smartphone che in pochi secondi permette di identificare il titolo e l’autore di una canzone solamente avvicinando il telefono alla fonte sonora che la emette.
Beatport è la community e il negozio online di musica elettronica per eccellenza: nato nel 2004 possiede ad oggi un catalogo di 1,5 milioni di canzoni, acquistabili nel formato MP3, WAV e AIFF. Tempo addietro, girare i negozi di dischi alla ricerca di qualcosa di raro aveva certo il suo fascino, ma non si può mettere in dubbio che oggigiorno poter sfogliare (da ovunque ci si trovi) l’immenso catalogo dello store tramite anteprime (di circa 2 minuti) diviso per genere, etichetta, autore e data di pubblicazione, è qualcosa di fantastico.
Non solo: Beatport dà la possibilità anche ai produttori emergenti, sotto la condizione di alcuni requisiti, di aggiungere i propri brani al catalogo per venderli e farli conoscere. L’altro lato della medaglia è che l’enorme offerta porta irrimediabilmente con sé una quantità di produzioni davvero mediocri, ma questo è un discorso a parte.
Passiamo ora a Shazam. Come spiegato prima, l’applicazione riesce a determinare il titolo di una traccia sonora a partire da una breve registrazione audio, anche se la registrazione viene fatta in un luogo rumoroso, come un locale. Riesce a fare questo confrontando il suono catturato con gli spettrogrammi delle tracce, “impronte acustiche digitali” registrate nel suo database di oltre 11 milioni di brani, codificati principalmente dall’Apple Store, (fino a oggi) il suo partner principale. Nonostante gli anni, rimane ancora una delle applicazioni più utili che si possano installare su di un dispositivo mobile.
Un giorno mi trovavo a discutere con un amico del perché non fosse ancora nata un’applicazione come Shazam, ma concentrata esclusivamente sulla musica elettronica. Non riuscivamo a capacitarcene ed eravamo quasi sul punto di pensare alla realizzazione di un simile progetto, quando… TAC!
Ecco la svolta che avevamo predetto diventare realtà: tutto il database di Beatport codificato su Shazam.
Gli sviluppi di un accordo del genere sono molteplici: la prima cosa che viene in mente è immaginare qualcuno che in discoteca si innamora di un pezzo suonato dal suo dj preferito. Tutto quello che deve fare, nel 2013, è alzare al cielo il suo smartphone e avviare Shazam: nel giro di pochi secondi compaiono sullo schermo tutte le informazioni possibili e immaginabili sulla traccia in questione, compresa la possibilità di acquistarla. Shazam permette infatti di comprare le tracce ricercate con un collegamento diretto all’Apple Store; non ho ancora avuto modo di provarlo con la musica elettronica, ma è facile immaginare che l’utente sarà in grado di acquistare i brani connettendosi a Beatport.
Il produttore di musica elettronica non può che essere entusiasta, perché ha ora la possibilità di non essere più così dipendente dalle grandi etichette discografiche, diventando le sue creazioni a disposizione di tutti quei fans che utilizzeranno il servizio.
Anche per l’amante del genere musicale e il frequentatore di discoteche è ovviamente un vantaggio, che gli risparmia ore e ore di ricerca schizofrenica dell’ID della traccia amata e gli permette di conoscere nuovi artisti e produzioni con le quali magari non sarebbe mai entrato in contatto. Unico problema immaginabile sono le discoteche che si riempono di gente con i telefonini in mano, intenti più alla ricerca dei titoli che al godimento della musica stessa..
L’unico che probabilmente è rimasto scontento e critico rispetto alla novità è il dj (non produttore) “geloso” delle proprie tracce. Ora, prescindendo dal fatto che la produzione personale sta acquistando sempre più importanza nella valutazione globale dei disk-jockey, comprendo (perché anch’io non produco) che il tempo speso per la selezione e la ricerca dei pezzi, che comporta l’ascolto di tonnellate di spazzatura alla ricerca di qualcosa di valido (e spesso lontano dal mainstream), d’ora in poi può sembrare vanificato.
Ho riflettuto molto su questo e ritengo che non sia così. Anche se è tutto più accessibile, un dj necessita ancora (e forse più di prima) di grande talento e competenza nella selezione ed accostamento delle tracce che suona, in modo da elevarsi al di sopra della “massa” dei dj improvvisati. Soprattutto in un’epoca dove per mixare non c’è bisogno d’altro che di un computer ed è possibile, tramite siti come Beatport, accedere alla quasi totalità della produzione.
Essere avidi riguardo a musica che non si è prodotta da sé stessi non ha senso. Se fossi un produttore mi piacerebbe infatti che la mia musica fosse condivisa il più possibile, tra i dj e i fruitori di musica elettronica. Credo sia anche una forma di rispetto e di contributo nei confronti del produttore stesso.
Si può ipotizzare inoltre che i futuri sviluppi di questa “uniformità” e facilità di accesso alla musica elettronica potranno spingere alcune etichette a produrre ancora su vinile o cd, facendo uscire produzioni speciali non acquistabili online. O potranno, ad esempio, favorire nei dj la ricerca spontanea di etichette più piccole, meno visibili, più underground.
Riporto in conclusione un commento di Claudio Coccoluto trovato su un articolo di SoundWall che parla dell’accordo:
“Dallo scorso decennio in cui alcuni coprivano con carta e colla i centrini per rendere anonimi i dischi, a chi oggi fa la stessa cosa ma in termini digitali sulle playlist di Traktor o Serato, camuffando immagini e ID, essere gelosi di un disco o una traccia non ha giustificazioni: il senso di “possesso” è figlio di un’ignoranza di base: la Musica non è tua ma di tutti, patrimonio dell’umanità, come lo è il diritto di conoscere e il sacrosanto lavoro che fa la curiosità di scoprire, cercare, analizzare ciò che non si conosce. Poi, per me, il dovere del DJ è promuovere, insegnare, instradare, col suo gusto, la sua visione ma sempre con il medesimo rispetto di un materiale sonoro che è in “PRESTITO” nelle sue mani, perchè lo possa divulgare.
Se questo fosse chiaro ai più (insieme ad un’altro paio di cosette) non avremmo dubbi che uno strumento come questo non può che ampliare e dare beneficio ad un mercato inflazionato, saturo e in piena de-regulation critica e commerciale:
+ nozioni = + cirolazione = + informazione = + cultura = – marketing = – “fenomeni” = – approssimazioni.”
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi di questo che a mio avviso è un cambiamento profondo nella circolazione della musica elettronica: aiuterà a migliorarne la qualità o andrà a discapito del lavoro di molti dj?
Photo credit: soundwall.it, urb.com