Più strategia, sempre meno sport

Articolo scritto il 26 luglio 2012 nella categoria Sport | icona Commenti Nessun Commento

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Il Tour de France è misericordiosamente finito.

Con buona pace di quanti affermano che il pur ottimo Wiggins, già campione del mondo su pista, ha vinto perché è stato il migliore e ha saputo sfruttare un tracciato a lui idoneo, questo Tour è stato avvincente come la lettura di un elenco del telefono.

Non è questione di darsi arie da palati fini o da inguaribili sostenitori della vecchia guardia. Avete presente “L’attimo fuggente”? A inizio anno scolastico i ragazzi buttavano nel cestino il saggio del famoso critico che suggeriva di valutare una poesia in base alla sua area su un ipotetico piano cartesiano. Ecco, la stessa voglia di strappare una brutta pagina la fa venire Froome che dice “il nostro lavoro era proteggere Wiggins in salita”. Froome era probabilmente lo scalatore migliore di questo Tour, ma non sapremo mai se avrebbe potuto vincere, perché ossequioso alla linea dettata dall’azienda, non ci ha nemmeno provato. E i suoi abortiti tentativi di scatto in salita (chiamarli fughe sarebbe esagerato) hanno fatto ricordare le inchiodate di Barrichello sul traguardo per lasciar passare Schumacher. Ordini di scuderia si disse allora, ordini di scuderia si ripete oggi.

E la scuderia SKY – una squadra da 30 milioni di euro all’anno, l’equivalente nel ciclismo di un Manchester City o di un PSG – sin dall’inizio ha messo al centro il suo uomo di punta che vince il Tour avendo dominato due tappe a cronometro per complessivi 100 km in tre settimane di corsa. Niente di male per carità, ma se di Wiggins si ricorderanno soprattutto gli atteggiamenti da working-class hero con le sue storie di bevute di birra e il suo linguaggio pittoresco, o la prima vittoria di un inglese 55 anni dopo la morte di Tommy Simpson, sarà anche perché non c’è stato molto altro da segnalare.

Si può indicare invece quello che è mancato: i nomi illustri, Contador e Schleck su tutti, e i tentativi da parte di chi c’era di mettere in discussione un primato assegnato quasi iure imperii ancora prima del via. Non un tentativo di fuga vero che facesse traballare la classifica, piuttosto – ahinoi – un diffuso timore reverenziale: “la SKY è troppo forte”. Questa è stata la morale della corsa e il mantra costantemente ripetuto da tutti.

Sarà anche questo un segno dei tempi che passano, ma che una corsa – anzi, LA corsa a tappe – così carica di significati, di episodi storici, di ricordi collettivi ormai consegnati alla mitologia del ciclismo, sia diventata un compitino ordinato su misura per il pesce più grosso non può non lasciare insoddisfatti. Non è la prima volta per la verità, sono cose che già si dissero ai tempi della US Postal di Armstrong. Ma la sensazione che siano mancati equilibrio e congruenza appare più grossolana oggi.

Si dirà che una corsa dove mancano fenomeni è probabilmente più pulita di una corsa in cui ci sono corridori troppo superiori agli altri, e magari potrebbe essere vero. Senza tema di scadere nella patetica malinconia e senza fingere di ignorare gli aloni di ambiguità nella preparazione, rivendichiamo la nostra preferenza per chi andava più forte degli altri sempre e comunque, non appena poteva e per tutto il tempo che ce la faceva, i cannibali e i pirati che non hanno mai dedicato troppo tempo alle strategie a tavolino perché erano impegnati a pedalare.

Photo credit: skysports.com


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