Articolo scritto il 12 marzo 2014 nella categoria Informazione, Web | 2 Commenti
Tempo fa ho scovato un’interessante intervista ad Umberto Eco nella quale, tra i temi trattati, trova grande spazio il problema della conoscenza nell’era di internet, dove l’accesso all’informazione è globale e facilitato, ma che allo stesso tempo instaura nuove problematiche e pone una grande sfida all’umanità.
L’intervistatore chiede al filosofo un’analisi e critica di questa situazione dal punto di vista semiotico, queste le sue considerazioni:
Da un punto di vista semiotico e mio non è comprensibile ogni possibile scambio significante se non sullo sfondo di una serie di competenze comuni che io chiamo Enciclopedia. L’Enciclopedia è l’insieme di tutto quello che la gente sa e dice, anche se falso (fa parte dell’enciclopedia cappuccetto rosso tanto quanto gli anelli di saturno). L’umanità in fondo si è sempre aggirata intorno al problema di un’organizzazione e controllo dell’enciclopedia: altro non sono le biblioteche, i musei, e così via, o le vere e proprie enciclopedie (da quella di Plinio sino alla Treccani).
Ora, una delle funzioni dell’enciclopedia non è soltanto quella di conservare un sapere comune che permetta la comunicazione (non potremmo parlare noi in questo momento se non facessimo riferimento a un sapere comune), ma anche di filtrarlo.
Per esempio: l’enciclopedia deve registrare che è avvenuta la battaglia di Waterloo, ma non è tenuta a registrare il nome del primo caduto in battaglia; guai se lo facesse, se registrasse i nomi di tutti i caduti; essi sono forse registrati da qualche parte, un giorno o un altro uno studioso può andarli a recuperare, ma non fanno parte di quel patrimonio comune che è l’enciclopedia.
Questo filtraggio è fondamentale, altrimenti saremmo come “Funes el Memorioso” di Borges, che ricordando tutto tutto tutto, è un perfetto idiota.
Ora, internet è l’enciclopedia ma nella forma di Funes… c’è tutto. Cioè, è un’enciclopedia che registra potenzialmente tutto ma che non offre gli strumenti per filtrare l’informazione, tanto è vero che ciascuno di noi di fronte a un sito internet non sa mai se l’informazione è attendibile o non è attendibile.
Questo pone l’umanità di fronte a una sfida nuova: se la sfida antica era riuscire a possedere più enciclopedia possibile, adesso è in qualche senso sbarazzarsi di quanta più enciclopedia possibile.
Questa scienza della decimazione non è ancora stata inventata; non è detto che possa essere inventata e non è neppure detto che sia una scienza, probabilmente è una forma di pratica che si apprende per imitazione, per fiuto, così come il cacciatore riesce dallo stormire delle foglie, da un ramo spezzato, a capire se è passato l’animale. Ma non c’è una regola che dice “se si spezza un ramo, allora è passato un animale”.
Come avevo suggerito nel mio primo articolo: senza autorità nel campo della conoscenza, oggi siamo costretti ad usare il nostro intuito. Il problema però è che spesso tendiamo a conservare le informazioni che ci piacciono, che si conciliano con la nostra immagine del mondo, e scartare invece tutti i dati che non ci piacciono perché in qualche modo disturbano le nostre credenze. Che valore ha dunque un’informazione di questo tipo?
Non è del tutto vero che questa “scienza della decimazione” non è ancora nata: oggi ad esempio esiste già una figura professionale chiamata Content Curator che si occupa di ricercare, analizzare e collezionare le informazioni sparse per il web su un argomento specifico.
Nel mondo delle start-up, trovo invece interessante l’idea dell’italiano Etalia.net, anche se in questo caso si tratta di giornalismo e non di sapere culturale. Etalia è un portale che permette di crearsi il proprio quotidiano selezionando gli autori o le testate che si preferiscono. Rappresenta anche un nuovo modo per i giornalisti freelance di vendere i propri articoli ed essere pagati, togliendosi dalla spirale di sfruttamento protratta da molte grosse testate online, le quali spesso assumono giornalisti che lavorano gratis (umiliando il loro lavoro, a mio avviso).
E’ un’interessante sfida per il futuro che può produrre la propria degenerazione totale, nel senso che sino ad oggi ciascuno di noi si atteneva ad un’enciclopedia registrata e accettata da tutti (salvo poi sfidarla su un punto particolare dicendo “è falso quello che si è creduto sin’ora”, ma se non si partiva da questa enciclopedia accettata da tutti, non c’era e non c’è rapporto umano). Ora invece c’è la possibilità, puramente teorica, che con 6 miliardi di abitanti del pianeta che navigano ciascuno a modo proprio attraverso la rete virtuale, si formino 6 miliardi di enciclopedie diverse, il che sarebbe l’assoluta incomunicabilità.
L’ho detto, la conoscenza non è solo acquisizione ma è anche filtraggio, la memoria non è solo ritenzione ma anche ripulso, altrimenti non esisterebbe neanche la psicanalisi, che va a grattare là dove si sono eliminate delle cose che forse non si dovevano eliminare. Ma le cose si devono eliminare, se noi ricordassimo tutto saremmo finiti. Quindi, se la rete non elimina, non è un modello di intelligenza umana, al massimo è un modello di intelligenza divina: ma verrebbe fuori l’idea di un dio completamente stupido, perché sa troppe cose (non organizzate).
In queste parole è racchiuso il filo conduttore del mio blog, uno dei motivi principali per cui ho deciso di aprire La Giungla: come Umberto Eco sono convinto che il sapere digitale, oggi più che mai, abbia bisogno di una organizzazione radicale. Infatti, se da una parte l’informazione nella storia conosciuta mai è stata così accessibile come lo è oggi, dall’altra la maggior parte di noi non ha né l’esperienza, né l’educazione che gli dia gli strumenti (almeno rudimentali) per discernere all’interno di questa tra vero e falso, ammesso che sia possibile.
Questo lo vediamo tutti i giorni, nel modo in cui ad esempio certe notizie bufala rimbalzano in pochi secondi da una parte all’altra del globo senza che nessuno (o comunque la minoranza) si preoccupi di rintracciare la fonte. O la costruzione senza controllo di teorie cospirazioniste che popolano la rete: funzionano e hanno seguito perché sono “pacchetti” di informazioni dove, mischiate a piccole o parziali verità, vi sono ogni genere di assunzioni senza fondamento.
Oggi, più informazione non significa necessariamente informazione migliore. Anzi, il rischio è proprio quello di non distinguere più. Eco paragona questa situazione al film “La Grande Abbuffata”:
Questo non ha a che fare col senso, nel senso semiotico del termine, ha proprio a che fare con la bruta quantità di informazione. Così come la differenza tra una persona normale e un personaggio della Grande Bouffe non è di tipo culinario, cioè nella bontà o non bontà dei cibi, ma solo nella quantità. Quelli della Grande Bouffe muoiono perché mangiano troppo; se avessero mangiato troppo caviale sarebbero morti lo stesso. Cioè il senso riguarda la differenza tra il caviale, l’aragosta e la frittata, la Grande Bouffe invece riguarda solo la quantità: la rete è Grande Bouffe per quantità, in questa quantità è impossibile stabilire delle distinzioni tra il caviale e la frittata.
Riguardo al correlato argomento dell’archiviazione della conoscenza Eco sottolinea:
Gli archivi son delle cose utilissime, non è questo il problema. Un archivio che mi ha fatto paura è quello che hanno iniziato alla nuova biblioteca di Alessandria d’Egitto, dove stanno archiviando su cassette tutto quello che passa su internet, anche quello che è passato ieri ma che oggi è stato estinto. Se internet è già di per se stesso una prospettiva abissale di accesso d’informazione, questo archivio della biblioteca di Alessandria sarà peggio ancora!
Ancora una volta, gli archivi sono degli insiemi selezionati, un insieme non selezionato non è più un archivio. Siamo alla mappa 1:1 dell’impero, le mappe sono utili proprio perché sono più piccole del territorio. Se facciamo una mappa grande come il territorio, non riusciamo più a muoverci.
L’urgenza è dunque quella di creare uno standard per identificare l’attendibilità di un’informazione, uno standard che deve essere insegnato a partire dalle scuole, come rimarcato in questo articolo di Eco stesso riguardante Wikipedia:
Ritengo che esista un modo molto efficace di sfruttare pedagogicamente i difetti di Internet. Si dia come esercizio in classe, ricerca a casa o tesina universitaria, il seguente tema: ‘Trovare sull’argomento X una serie di trattazioni inattendibili a disposizione su Internet, e spiegare perché sono inattendibili’. Ecco una ricerca che richiede capacità critica e abilità nel confrontare fonti diverse – e che eserciterebbe gli studenti nell’arte della discriminazione.
Tratto da una video intervista di Leonardo Romei del 16 luglio 2006, a cura della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma. Photo credit: livroseafins.com, waterstechnology.com
Carlo Sini – Lectio magistralis “I luoghi del pensiero oggi”:
http://youtu.be/Cc4SDgxtgag?list=UUdU6h6w1CrOow3ox_hXdkSQ
[...] regola che dice “se si spezza un ramo, allora è passato un animale”. (sito: ” https://lagiungla.it/umberto-eco-era-informazione-digitale ” ). Altre frasi di Umberto Eco sull’era digitale sono : “I social media danno [...]